Marocco

Sui monti dell’Atlante,  ho visto danzare le adepte sufi dai lunghi capelli che diventavano sciacallo, leone, vipera. Grido d’uccello delle menadi, baccanti dalla bocca macchiata di sangue del capretto vivo che avevano appena dilaniato con le dita delicate. Attorno, Berberi dell’Atlante, paralitici di Fez, avvocati di Casablanca, segretarie e studenti di Rabat, musicisti della corte reale: per tre giorni e tre notti si erano affollati fraternamente nel cortile straccolmo, avevano danzato, pianto, dormito, mangiato, stretti come sardine. Polizia e agenti in borghese davano la caccia non tanto ai borseggiatori, quanto agli ultras dell’Islam, agli ottocenteschi wahhabiti atterrati nel ventesimo secolo, farciti di bombe e petrodollari, per condurre una guerra santa contro le tombe, gli alberi, le biblioteche e la musica. (…)

 

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